Accessibilità e disabili: diversamente competenti o altrimenti interessati?

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Prendendo spunto da una notizia comparsa su Paese Sera, Laura Raffaeli, presidente di Blindsight project, dice la sua sull’ipocrisia del politicamente corretto e sugli spazi destinati e riservati ai “diversamente abili”, che finiscono per essere ghettizzanti

E’ ormai assodato che il politicamente corretto sia solo un modo per creare confusione tra i cosiddetti “normodotati” ed è utile solo per alimentare l’ignoranza e la disinformazione di cui i “normo” godono nei confronti delle persone disabili;  chiamare le persone disabili “diversamente abili” non migliora di certo la situazione disperata per tanti milioni di italiani  “disabilitati” da una funzione fisica; ad esempio io sono stata “disabilitata” dalla vista, ma non mi sento affatto diversa. Chiamare un cieco “non vedente” e lasciarlo al buio, senza ausili e pieno di barriere invisibili, come le barriere informatiche ad esempio o in generale le barriere sensoriali (pressoché sconosciute in questa nazione) assume tutte le sfumature di una presa in giro. Idem vale per le persone sorde, chiamate spesso “non udenti”, nessuno poi considera mai gli ipovedenti e gli ipoudenti, in genere comunque non considera proprio i disabili sensoriali. Chiamarci “diversamente abili”, a volte “altrimenti invalidi”, e al tempo stesso emarginarci è diabolico.

Il logo universale che rappresenta l’handicap è una figura in carrozzina, ciò non significa che chi cammina sia abile, o normodotato. Quando si stanziano fondi per l’abbattimento delle barriere va considerato che non esistono solo quelle architettoniche, ma esistono anche quelle sensoriali, drammatiche tanto quanto quelle architettoniche per i disabili motori. Ma non solo nessuno ci pensa mai, nonostante la onlus che presiedo, la Blindsight Project, dal 2006, anno in cui la fondai, diffonda giusta informazione sollecitando continuamente tutti all’abbattimento di barriere, soprattutto quelle sensoriali. Queste ultime sono ad esempio l’assenza di una sintesi vocale in tutti i bancomat (esclusa una sola banca), o in un ascensore (c’è il braille sui bottoni? E se il cieco non conosce il braille? Soprattutto: una volta scelto il piano a cui devo andare, posso sapere a che piano sono arrivata?), l’assenza di guide tattili in terra, un captcha in un sito web, i libri di testo per gli studenti della scuola dell’obbligo (noi ciechi con i libri di carta non ci facciamo nulla, esistono gli ebook che leggiamo con sintesi vocale come ora sto scrivendo sul mio computer), la rissa che ogni volta si scatena se si ha un cane guida perché in pochi conoscono la legge che ne tutela il lavoro, ecc. . Tutto questo e tantissimo altro solo per i ciechi italiani. Per i sordi idem: oltre ai vetri oscurati (impossibile leggervi il labiale) e a doversi pagare le protesi e relative batterie, qualcuno conosce la LIS? La Lingua Italiana dei Segni? In un ospedale, se arriva una persona sorda segnante, come comunica? Idem vale per la Polizia Stradale o Pompieri: come comunicare per salvare la vita a un sordo? Neanche l’alfabeto si conosce! Eppure i sordi prendono un’indennità d’accompagno molto ridotta rispetto ai ciechi civili, in quanto qualcuno ha deciso che, siccome ci vedono e guidano l’auto, non hanno bisogno di nient’altro, quindi il silenzio più assoluto. Lo stesso silenzio che avvolge gli ausili, costosissimi e per cui si riceve solo un minimo di rimborso, quando lo si riceve. Per finire: dove sono sottotitoli e audiodescrizioni in Italia e nel web? Quante cose si potrebbero fare anziché ghettizzare e passare pure per benefattori!

Tutto questo mi viene in mente leggendo un articolo, uno dei tanti che finiscono nel mucchio dei “buoni propositi” da parte di qualcuno che, previo fondo che sostiene il progetto, promette qualcosa, che troppo spesso tra l’altro non viene mai realizzata.

L’articolo in questione, per cui vorrei richiamare l’attenzione alle problematiche e realtà mai considerate che vi ho appena descritto, ha un titolo a dir poco allucinante, che suona come qualcosa di nazista: “Fiumicino: sì a una spiaggia per diversamente abili”, qualcuno cioè ha visto bene di relegare i disabili su un pezzo di spiaggia, convinti di non sbagliare visto che a tutto hanno pensato tranne al fatto che i disabili sono persone, infatti usano il politicamente corretto, che di solito è il primo segnale di disinformazione.

Vorrei dire a chi ha pensato a questo progetto, che mi auguro non si realizzi mai, che le persone disabili vogliono autonomia, siamo tutti stanchi di questo pseudo assistenzialismo che porta soldi in tasche sbagliate. Io voglio scegliere, in quanto cieca sì, ma comunque donna e persona, non andrò mai in una piscina per ciechi, non voglio il cinema per i “portatori di handicap”, ecc., tantomeno andrò mai su una spiaggia per “diversamente abili”. E se la persona disabile non ha genitori? Perché buttare sempre ogni responsabilità e peso sui genitori quando dovrebbe esserci invece la possibilità anche di essere autonomi, almeno quando lo si può grazie anche ad un ausilio? Non è certo integrazione una spiaggia dedicata a disabili e loro famiglie.

Bisogna smetterla con queste vere e proprie ghettizzazioni, chiamarle discriminazioni sarebbe un complimento, bisogna invece iniziare a considerare che le persone disabili in Italia sono tantissime (basti pensare soltanto ai quasi 40.000 disabili gravi come me che ogni anno l’assenza di sicurezza stradale in questa nazione “produce”), considerare la disabilità anche un’enorme risorsa e non solo qualcosa da assistere o collocare senza valutare mai le capacità della persona stessa. Nell’articolo parlano di collaborazioni con associazioni per disabili: ma quali sono? Quale categoria di disabili tutelano, soprattutto, come e quanto? E quali sono i tempi per la realizzazione di questo agghiacciante progetto? Dov’è in Europa un altro paese come l’Italia che sia così arretrato, ignorante e razzista? Fuori da questa nazione le spiagge sono tutte attrezzate anche per i disabili motori, quasi sempre hanno guida tattile, ecc., soprattutto nessuno si scandalizzerebbe di fronte al fatto di essere vicino d’ombrellone di un cieco con cane guida o di un carrozzato, quindi questi ultimi scelgono dove andare al mare, e quando ci vanno non devono dire grazie! Quando si adeguerà anche questa nazione?

Tutte domande a cui si risponde sempre con altro politicamente corretto e politichese, in concreto: qual è la competenza in materia di tutti questi politici che, sempre in vista di una campagna elettorale, esordiscono con questi “effetti speciali”? Pare nulla, considerando che la politica non affronta seriamente la situazione delle persone disabili in Italia, continuando però ad elargire denaro per simili iniziative che servono solo, sempre ammesso che vengano realizzate, a chiudere sempre di più in un’altra dimensione, del tutto irreale, milioni e milioni di italiani.

Se l’intento di chi vuole realizzare una spiaggia solo per “diversamente abili” è in buona fede, capirà di cosa parlo e sa bene quanto lavoro c’è ancora da fare nel mondo delle disabilità, prima di accontentare chi vuole le persone disabili chiuse in casa o ghettizzate, soprattutto dimenticate in questa nazione, che se ne ricorda sempre e solo quando gira un fondo per abbattimento barriere o in occasione di una campagna elettorale: portare accessibilità significa rendere autonoma la persona disabile, significa rispettare la sua dignità, o è proprio questo ciò che non si vuole?

*Laura Raffaeli, presidente Blindsight Project – https://www.blindsight.eu
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