19/07/2010
Scorrendo tra le pagine delle iniziative che riguardano i ciechi mi sono imbattuto in una presentazione delle famose cene al buio.
L’incipit è molto stimolante: “cenare al buio, nella più totale oscurità. Assaporare, gustare… senza vedere”. Potrebbe anche sembrare la promozione di un locale a luci rosse per scambisti o cose del genere, ma la perversione è ancora più sottile se si continua a leggere. La descrizione parla di “un’esperienza che riserverà non poche sorprese. Un viaggio al buio attraverso l’olfatto, il tatto, il gusto e l’udito per scoprire con meraviglia le potenzialità di tutti i sensi, ma soprattutto un’occasione per avvicinarsi alla realtà di chi non vede”. Leggendo viene da pensare a una spedizione nel mondo dei ciechi, come se si trattasse di un universo separato da quello dei vedenti ed evidentemente per i signori che le organizzano è proprio così. La scusa è tipicamente italiana ed è legata al cibo ma nell’esposizione di questa serata si parla di riduzione della distanza tra chi vede e chi no, perché ci si rende conto di quello che una persona cieca vive quotidianamente, scoprendo quanto sia difficile affrontare una situazione così banale, che i minorati della vista compiono nella massima semplicità.
Il trionfo di questa prova è riassunto nella frase: “Terminata la cena si torna alla luce riscontrando quanto il nostro mondo ipervisivo ci induca quotidianamente a trascurare gli altri… Sensi”.
Non so se sorridere o inorridire. Il nostro mondo viene definito ipervisivo e addirittura si afferma che ci induce a trascurare gli altri sensi. Quali altri sensi? Altri rispetto a cosa? Come avviene questo processo indotto? Bisogna mangiare bendati o al buio per scoprire questa presunta disabilità verso i 5 o i 4 o l’impero dei sensi?
Non so se è cattiva fede o si tratta di caos ideologico, ma il mondo non è nostro o di altri, è una grande comunità composta da miliardi di individui, tra i quali esistono anche i ciechi. Nel momento in cui separo due mondi stabilisco anche una discriminazione, soprattutto se parto dal limite, dall’handicap e induco chi vede a vivere da non vedente. La perversione si manifesta soprattutto in questo.
Esistono persone che adorano farsi bendare ma non perché desiderano sperimentare cosa vuol dire essere ciechi, ma perché vogliono essere vedenti che non possono vedere. Il procedimento è lo stesso prodotto in queste dark room della mangiata ed è terribilmente offensivo per il cieco nel momento stesso in cui si cerca di dare un significato sublime a un fatto così degradante, per chiunque partecipi.
La cena al buio ci dimostra quanto sia malata la mentalità di molte persone che gestiscono il complesso tema dell’integrazione e di quanto possa diventare umiliante per la dignità umana essere trattati come pedine in un gioco o cavie in un esperimento.
Non imparerò nulla dei disagi che deve affrontare un cieco mangiando al buio con lui. Non mi arricchirò di nuove sensazioni e non conoscerò sensi che non utilizzo. Comunque se voglio farlo posso spegnere la luce a casa mia e provarci per conto mio. Il cieco c’entra poco.
Farò un’esperienza leale e autentica se andrò insieme a lei o a lui in metropolitana, se attraverseremo insieme sulle strisce rischiando di essere falciati dalle auto che non si fermano, se non ci faranno entrare in un negozio con il cane guida. Se non lo offenderò facendo finta di essere cieco per un’ora e simulando una cecità inventata per giocare alla cena delle beffe.
Non devo avvicinarmi in modo ruffiano alla sua realtà ma fare in modo che i suoi spazi e le sue possibilità si avvicinino a quelle di ogni cittadino. Ai diritti di ogni cittadino.
L’ignobile ipocrisia messa in atto nelle cene al buio ci rappresenta purtroppo un mondo che però non deve essere nostro né di nessuno, perché è un circolo ristretto di interessi immorali in cui si gioca pesante sulla testa e sulla vita delle persone.
Provo sempre una grande vergogna come uomo, quando vengo a conoscenza di casi di abuso, di violenza, di furto della dignità umana.
Nelle cene al buio il cieco viene trattato come un fenomeno da baraccone, così come chiunque partecipa diventa clown in un circo squallido, fatto di usanze snob e diretto da aguzzini indecenti che senza scrupoli, fanno il commercio della finta solidarietà.
Esiste però un confine fatto di intelligenza e di orgoglio che invece di spingere le persone verso il mattatoio e costringerle alla sottomissione, ci impone il rispetto dell’altro e la convivenza civile.
Un confine che appartiene a tutti, senza distinzioni e senza mondi diversi, e che ci incoraggia a vivere insieme normalmente, senza eventi speciali e senza lanci pubblicitari, perché le esperienze che contano sono quelle che facciamo attraverso i sentimenti e grazie alla condivisione di momenti normali, senza stratagemmi e senza spazi dedicati.
Stefano Pierpaoli