05/01/2010
Tecnologia. A seguito dei nostri articoli sulla dipendenza da nuove tecnologie, una nostra lettrice ha voluto raccontarci la sua storia a lieto fine.
Alcuni giorni fa abbiamo parlato su VareseNews di internet-dipendenza (detta anche web-addiction), un problema che desta sempre più preoccupazioni nelle famiglie. A seguito della pubblicazione dell’articolo, siamo entrati in contatto con Elena Brescacin, una ragazza internet-dipendente che sta uscendo, lentamente, da questo disagio. Elena ha anche creato un sito dedicato a questo problema: sembra un paradosso, ma Internet è un mezzo, e come tale può creare problemi quanto risolverli. Ecco la testimonianza di Elena, che ci racconta come abbia preso consapevolezza del suo problema, e come stia provando a risolverlo.
Gentile redazione di VareseNews, ho letto con interesse l’articolo “Quando Internet ti tiene al guinzaglio” e vorrei replicare con la mia storia:
Sono Elena, 29 anni, non vedente dalla nascita, desidero raccontare la mia testimonianza di persona che sta lottando tenacemente contro la cosiddetta “dipendenza da Internet” e ne sta uscendo a testa alta; avevo conosciuto Internet come mezzo di assoluta libertà e autonomia, utile per leggere libri e giornali, per comunicare con amici e conoscenti, per fare ricerche senza bisogno di chiedere aiuto ad altre persone e successivamente per shopping on line e operazioni bancarie;
Ma di questo concetto di libertà talvolta si abusa talmente tanto, che alla fine si arriva a crearsi una prigione da cui uscire è molto difficile, ma assolutamente non impossibile.
Il fenomeno della IAD è molto sentito, spesso in modo allarmistico, ma nasce da un senso di protagonismo tipico di molti ragazzi che viene accentuato dal fatto che Internet illude di poter avere tutto senza eccessiva fatica e dove soprattutto ci si illude di poter dire e fare ciò che si vuole, senza inibizioni, senza temere di essere giudicati o di sentirsi inadeguati.
Ora più che mai, quindi, è necessario fare prevenzione perché la netdipendenza non è solo quella di cui si parla nei media, quella cioè dei ragazzi che perdono palesemente il controllo anche dei loro bisogni fisici come mangiare e dormire. La netdipendenza si può nascondere in ognuno di noi, è subdola, e deriva sempre da un senso di debolezza e vuoto che già ci appartiene: non serve stare 12 ore su Internet per esserne condizionati, bastano anche soltanto 5 minuti al giorno, o alla settimana, usati male; almeno, nel caso della dipendenza da relazioni sociali virtuali com’era il mio caso perché, comunque, la dipendenza da Internet è una questione davvero complessa in quanto, contrariamente alle sostanze stupefacenti e al gioco d’azzardo, l’uso scorretto della rete Internet crea dei condizionamenti solo a livello mentale e il fisico ne risente qualora lo stare in rete condiziona in modo pesante i nostri ritmi di alimentazione e sonno.
Internet, a seconda di come lo si usa, può o meno risvegliare uno o più istinti dell’essere umano: dipendenza da sesso virtuale, da gioco, da shopping, da relazioni sociali, da sovraccarico d’informazione, e così via ma non fa mai tutto da solo; questa dipendenza colpisce se le si dà il fianco e, spesso e volentieri, chi è più a rischio è chi crede di esserne invulnerabile perché “lo conosce” o ci lavora. Come nel mio caso: mai dire “io non sono a rischio perché conosco il mezzo e lo controllo”; non è Internet che va controllata, ma se stessi.
La mia storia, in breve, è quella di una persona cresciuta in un ambiente familiare pieno di attenzioni e protezione, com’è giusto che sia ma forse un po’ troppo accentuate a causa della mia disabilità visiva. Sono una persona che vive una vita assolutamente normale ed integrata nella società, ma che s’è fatta prendere la mano dalla netdipendenza a causa di una vecchia paura ora superata di instaurare legami, causata da un lutto mal assorbito, avvenuto durante la mia preadolescenza.
Internet ha, in pratica, funzionato un po’ da “tocca sana” per soddisfare almeno in parte un bisogno che mi ero sempre negata: quello di dare e ricevere affetto e stima dagli altri. Era quello, l’unico mezzo che mi avrebbe permesso di essere me stessa nell’animo, aiutare le persone, farmi “voler bene” per ciò che davo virtualmente ma proteggere la mia identità reale di persona fragile, da attacchi di ogni tipo che credevo in ogni angolo: “vogliate bene a ciò che vi dico, ditemi grazie ma non legatevi a me perché i legami mi fanno paura e non voglio niente più di un semplice rapporto via mail” con conseguenti disagi quando non potevo scaricare la posta, creazione di un’identità fittizia, ed inevitabile sofferenza quando si trattava di vivere nella vita reale.
Ero arrivata a credere di essere ostaggio della mia vita, intendendo quella reale, invece alla fine ero soltanto ostaggio di me stessa perché ero entrata in un meccanismo da cui difficilmente riuscivo ad uscire, fino a quando ovviamente, è stata una persona reale a farmi capire sebbene in maniera forte, che così stavo soltanto andando a toccare il fondo: stavo, di fatto, perdendo degli affetti veri e duraturi, e per cosa? Per una sorta di avidità affettiva che non mi faceva prendere in giusta considerazione ciò che, invece, avevo sempre avuto.
Da lì mi sono resa conto della realtà dei fatti: io sono caduta nel tunnel della Internet Addiction Disorder, perché non la conoscevo. Perché pensavo di esserne invulnerabile, che fosse una cosa che riguardava solo i giocatori incalliti o i frequentatori di siti a sfondo sessuale, che ci volessero ore ed ore su Internet e soprattutto che quando ho trovato lavoro la condizione di disagio se ne andasse da sola ed invece niente di tutto questo, anzi, a me è bastato davvero poco per farmi condizionare anche se è servito altrettanto poco per trovare la consapevolezza di poterne uscire perché, per fortuna, ho avuto delle persone accanto che sono state in grado di farmi alzare la guardia ma ero arrivata davvero a un passo dal perdere, a vantaggio di quelli virtuali, i rapporti reali che mi sono costruita con il tempo.
E allora ecco che è nata l’esigenza di parlarne, di creare un progetto rivolto a tutti, inclusi i disabili che sono soggetti ad altissimo rischio IAD, in modo che le persone possano comprendere che Internet non è il diavolo: Internet è uno strumento, una risorsa, ma va usata come tale.
Internet non è la soluzione a tutti i problemi, specie quelli di natura relazionale; può essere un mezzo per conoscere e confrontarsi, sì, ma non il canale senza il quale non si può vivere. Il mio progetto IAD Killer -http://www.iadkillervirus.org -, appena nato, vuole proprio fornire informazioni e modalità su come difendersi da questa malattia e come usare al meglio la rete.
Cordiali saluti Elena Brescacin da Varese News 4-1-2010
http://www.iadkillervirus.org