Salute: esperti, malattie retina aumentano ma poca attenzione a ipovedenti

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Wall Street Italia del 16-05-2012

MILANO. Occhi italiani sempre meno sani. Da un lato c’è l’inarrestabile invecchiamento della popolazione, che espone a malattie come la degenerazione maculare legata all’età di cui si contano circa 20 mila nuovi casi all’anno; dall’altro i cattivi stili di vita e l’epidemia di obesità gonfiano i numeri del diabete (almeno 4 milioni i connazionali colpiti), che a sua volta minaccia la vista con l’edema maculare diabetico. Si alimenta così una nuova emergenza sanitaria e sociale: le patologie della retina, fra le prime cause di cecità legale e di ipovisione nei Paesi industrializzati. Ed è proprio sulla condizione di ipovedente che, secondo gli esperti intervenuti oggi a Milano a un incontro promosso da Novartis, in Italia manca una sufficiente attenzione. Ci vedono troppo per essere definiti ciechi, ma non abbastanza per vivere bene. Gli ipovedenti, segnalano gli specialisti, vivono in una ‘terra di mezzo’ di cui non si hanno cifre certe, necessari e per programmare azioni mirate. “Per l’Organizzazione mondiale della sanità – spiega Filippo Cruciani, professore aggregato di oftalmologia all’università Sapienza di Roma – ipovisione e cecità costituiscono problemi prioritari per i servizi sanitari di tutti i Paesi, in via di sviluppo o industrializzati. Purtroppo, però, non esistono ad oggi dati certi” ma solo stime: 161 milioni di persone con gravi problemi di vista, di cui 124 milioni ipovedenti (acuità visiva inferiore a 3/10, ma superiore anche di poco a 1/20, soglia al di sotto della quale ‘scatta’ la cecità legale). Soprattutto sull’ipovisione, “che tuttavia è in crescente aumento – avverte lo specialista – oggi c’è scarsa attenzione. E’ vero che per l’ambiguità visiva che la caratterizza è una condizione difficile da monitorare in termini epidemiologici, ma è assolutamente necessario farlo” perché si associa a un vero e proprio crollo della qualità di vita. Per la degenerazione maculare legata all’età (Dmle), per esempio, “la disabilità vissuta dal paziente può risultare fino a 700 volte superiore rispetto a quella percepita dall’oculista”. Qualche dato: circa un terzo delle persone con Dmle neovascolare e un’acuità visiva inferiore a 3/10 soffre di depressione maggiore; in termini di qualità di vita, poi, una Dmle di grado medio viene paragonata a un’infezione da Hiv sintomatica o a un’angina, e una Dmle grave all’infarto, all’ictus o a un cancro della prostata avanzato. In Italia, prosegue Cruciani, “la Commissione nazionale per la prevenzione della cecità si sta muovendo, nell’ambito dell’iniziativa globale ‘Vision 2000’, proprio per l’implementazione, il monitoraggio e la valutazione periodica di un Piano nazionale di prevenzione della cecità e dell’ipovisione. Tra gli obiettivi della Commissione ci sarà la raccolta e la pubblicazione, a intervalli regolari, dei dati su cecità e ipovisione e delle loro cause”. Nel frattempo, resta confermato che “l’appropria tezza terapeutica e l’accesso alle terapie più innovative e di comprovata efficacia e sicurezza – evidenzia l’esperto – sono fondamentali non solo perché danno un aiuto concreto al paziente per affrontare la vita di tutti i giorni, ma anche perché possono incidere positivamente in termini di costi indiretti legati all’assistenza, che gravano sullo Stato e quindi sulla società”.Contro la degenerazione maculare legata all’età, in forma neovascolare (la cosiddetta forma ‘umida’), è disponibile anche in Italia l’anticorpo monoclonale ranibizumab, inibitore del fattore di crescita Vegf. Il farmaco è rimborsato dal Servizio sanitario nazionale per i pazienti con Dmle attiva e acuità visiva maggiore o uguale a 2/10 con la migliore correzione, e di recente è stato approvato dall’agenzia Ue Ema anche contro la diminuzione visiva causata dall’edema maculare diabetico. “Ranibizumab è un trattamento di comprovata efficacia e sicurezza”, afferma Francesco Bandello, professore o rdinario di oftalmologia e direttore della Clinica oculistica dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “Esiste un’ampia letteratura scientifica – ricorda lo specialista – che dimostra come i pazienti con Dmle trattati hanno presentato un miglioramento duraturo della visione con un guadagno dell’acuità visiva fino a 11,3 lettere a un anno dal trattamento. Incominciano inoltre a emergere anche i primi dati raccolti a livello internazionale, che dimostrano come l’utilizzo dei farmaci anti-Vegf ha portato a una riduzione del 50% dei casi di cecità legale in pazienti con età superiore ai 50 anni”. Secondo Bandello, i benefici del farmaco “sono anche legati alla possibilità di personalizzare la terapia. Nella maggior parte dei Paesi, inclusa l’Europa, ranibizumab ha un regime di trattamento individualizzato con l’obiettivo di massimizzare i risultati sulla visione, evitando il sotto o over trattamento dei pazienti. Questo permette di mantenere gli effetti del tratt amento con un numero di iniezioni intravitreali strettamente necessario”.

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