Accessibilità e disabili: diversamente competenti o altrimenti interessati?
Prendendo spunto da una notizia comparsa su Paese Sera, Laura Raffaeli, presidente di Blindsight project, dice la sua sull’ipocrisia del politicamente corretto e sugli spazi destinati e riservati ai “diversamente abili”, che finiscono per essere ghettizzanti
E’ ormai assodato che il politicamente corretto sia solo un modo per creare confusione tra i cosiddetti “normodotati” ed è utile solo per alimentare l’ignoranza e la disinformazione di cui i “normo” godono nei confronti delle persone disabili; chiamare le persone disabili “diversamente abili” non migliora di certo la situazione disperata per tanti milioni di italiani “disabilitati” da una funzione fisica; ad esempio io sono stata “disabilitata” dalla vista, ma non mi sento affatto diversa. Chiamare un cieco “non vedente” e lasciarlo al buio, senza ausili e pieno di barriere invisibili, come le barriere informatiche ad esempio o in generale le barriere sensoriali (pressoché sconosciute in questa nazione) assume tutte le sfumature di una presa in giro. Idem vale per le persone sorde, chiamate spesso “non udenti”, nessuno poi considera mai gli ipovedenti e gli ipoudenti, in genere comunque non considera proprio i disabili sensoriali. Chiamarci “diversamente abili”, a volte “altrimenti invalidi”, e al tempo stesso emarginarci è diabolico. (altro…)